Coney Island, anni ’50: Ginny (Kate Winslet), è una ex attrice di teatro che ora sbarca il lunario facendo la cameriera e vive assieme al marito Humpty (Jim Belushi), con il quale non condivide alcun interesse, che lavora alle giostre. La donna ha una relazione col giovane e attraente Mickey (Justin Timberlake), un bagnino con velleità da scrittore. L’arrivo di Carolina (Juno Temple), la figlia che Humpty ha avuto da un precedente matrimonio e che sta scappando dall’ex marito gangster, mette a soqquadro il già precario equilibrio nelle vite dei personaggi…

Anni fa Woody Allen disse, durante un’intervista, che a lui più che i film di “denuncia”, che vengono superati inevitabilmente dal progresso continuo (beh, più o meno…) del genere umano, interessavano quelli che parlavano dei rapporti tra le persone, perchè inevitabilmente sempre uguali e sempre diversi. La ruota delle meraviglie dimostra, ancora una volta, che aveva ragione.

La Coney Island degli anni ’50 è uno stato enclave, un mondo a parte, dove il Sogno Americano va sfaldandosi giorno dopo giorno. I colori super saturi delle giostre e delle attrazioni, i rumori dei carillon festanti e della musica jazz, l’odore dei popcorn e delle mele caramellate coprono solo il parte il grigiore delle vite dei protagonisti, ognuno con un sogno tanto semplice quanto irrealizzabile. Tradimenti, bugie, illusioni, speranze tradite e, su tutto, il fato avverso, che li ostacola nel raggiungimento del proprio obiettivo.

Allen, grazie agli italiani Storaro (fotografia) e LoQuasto (costumi) confeziona un’opera bellissima da vedere e da ascoltare. Le luci, i colori, la profondità ed il dettaglio di ogni sequenza lasciano senza fiato. Storaro, come nel precedente Café Society, illumina il volto delle attrici a seconda dei loro stati d’animo e la sua Coney Island sembra uscita da un quadro di Hopper o Rockwell, asettica, decadente e bellissima.

Poche battute o risate: l’unico personaggio “alleniano” e fuori dalle righe è il figlio piromane della Winslet, che ama il cinema e dà fuoco ai carteggi della psicologa presso la quale è in cura. Per il resto, fiumi di parole, una lentezza talvolta esasperante (con richiami a Interiors e Stardust Memories) ma una sceneggiatura perfetta, interpretata da un cast in forma smagliante. Clamorosa la Winslet, ancora piacente ma segnata dal tempo e dalla fatica, oppressa dai ricordi di una vita migliore e incapace di adattarsi al presente, perfetto Belushi, come sembra provenire da un’altra epoca, funzionale Timberlake, che a volte si rivolge agli spettatori per renderli partecipi dei suoi pensieri, meravigliosa la Temple, capace di incarnare al tempo stesso l’innocenza e la sensualità. Ci si prova, a uscire dalla miseria, umana e morale, ma sempre senza successo.

Un luna park amaro, amarissimo ma indimenticabile.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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